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Diciamo plastica e pensiamo, giustamente, al petrolio. Fa parte della nostra vita quotidiana, grazie a proprietà come versatilità e resistenza ai microrganismi. Tuttavia, la plastica è sinonimo anche di sfruttamento ambientale, guerre in un mondo che crediamo estraneo e malattie note, spesso incurabili, tipiche dell'Occidente.
Pensiamo alle bottiglie di plastica in PET, elemento chimico sintetizzato in laboratorio. Secondo diversi studi scientifici, l'acqua nelle bottiglie di plastica potrebbe contaminarsi con ftalati, antimonio, formaldeide e acetaldeide, sostanze con diverso grado di tossicità a seconda della quantità ingerite.
Il PET, derivato dal petrolio greggio, trova largo impiego nell'industria alimentare del packaging, e non solo: quindi, per confezionare bottiglie di acqua, bibite, olii, marmellate, cibi precotti, carni, verdure, frutte, salumi, formaggi, salse, detergenti - insomma contenitori di ogni tipo.
Dallo studio condotto dai ricercatori della State University of New York per Orb Media emerge che oltre il 90% delle acque confezionate in bottiglia di plastica ne contengono tracce: il 54% delle tracce riscontrate appartiene al polipropilene, materiale utilizzato per la confezione dei tappi.
Risultato significativo che trova parziale conferma dalla ricerca effettuata dal Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell'Università Statale di Milano: studio intitolato Does mechanical stress cause microplastic release from plastic water bottles? pubblicato sulla rivista scientifica Water Research. Secondo questo studio, potrebbe non essere il Pet l'agente contaminante che, invece, sarebbe da ricercare nelle fasi di imbottigliamento. La ricerca, tuttavia, mette in guardia anche sui tappi di HDPE (polietilene ad alta densità) in grado di contaminare l'acqua che beviamo in seguito allo svitamento e avvitamento tipici.
Guarda la galleria: Plastica: dal PVC alla biodegradabile, come inquina e quali sono le alternative - immagini
La scienza si interroga anche sulla tossicità del PVC, impiegato nel settore edilizio, automobilistico, casalingo (bottiglie di acqua minerale, utensili da cucina, pellicole alimentari, carte da parati) e dell'industria di giocattoli per l'infanzia: gli oggetti o gli involucri che contengono questo polimero potrebbero liberare nell'aria e nelle acque sostanze tossiche - in questo caso si parla del cloruro di vinile.
Nel 1868 negli Stati Uniti venne indetto un concorso per trovare un materiale capace di sostituire l'avorio, che era molto adoperato ma anche costoso. Tra coloro che si cimentarono nella ricerca c'era un tipografo e chimico dilettante, John Wesley Hyatt. Anche se non riuscì nell'obiettivo, con una serie di esperimenti a base di cotone, acido nitrico e canfora compose la celluloide: il primo utilizzo fu nella pellicola fotografica e cinematografica, anche se risultava altamente infiammabile. In seguito l'impiego non poté che essere bellico: nel 1909 il chimico francese Edouard Benedictus scoprì casualmente che le schegge di celluloide non si disperdevano - a contrario di quelle vetrose - e il materiale fu usato per gli occhiali delle maschere antigas, durante la Prima guerra mondiale. Ne seguì l'utilizzo nella nascente industria automobilistica. Nel 1908 il belga Leo Henrik Baekeland preparò una reazione chimica tra fenolo e formaldeide che portò alla bachelite, la prima materia plastica ottenuta per sintesi, ossia partendo da componenti chimici semplici. Fu utilizzata per fabbricare telai di apparecchi elettrici e per le bocce del crescente gioco del biliardo. È con la polimerizzazione - ossia la creazione di macromolecole - che si giunge alla creazione della plastica su larga scala: partendo da composti naturali come carbone, metano e acqua si preparano le sostanze di base che in particolari condizioni di temperatura reagiscono formando macromolecole.
La tutela dell’ambiente deve necessariamente passare attraverso l’attenzione per lo smaltimento dei rifiuti, e la plastica è spesso al centro del problema. La quotidianità senza plastica sembra utopistica ma la sua cospicua diffusione mette a repentaglio l’ecosistema. I rifiuti plastici producono inquinamento. Il grande problema della plastica è la resistenza alla degradazione negli ambienti naturali, con la conseguenza che anche negli oceani sussistono molte tonnellate di fibre plastiche. Alcuni studi si sono soffermati sulla possibilità che, laddove la produzione di materiale plastico rimarrà ai livelli attuali, verranno superati e di molto i cinquecento milioni di tonnellate di rifiuti in fibra di plastica presenti negli oceani entro il 2050. Piuttosto ingombrante come problema per l’intero ecosistema. Allo studio ci sono diverse soluzioni per risolvere il problema ma attualmente l’unica certezza sembra essere l’insufficienza del sistema di recupero e smaltimento della plastica che avviene in superficie, considerando inoltre che la produzione ed il consumo di plastica è aumentato durante il periodo della pandemia. Pochi giorni fa sul GQ è apparsa la notizia che anche la campionessa di apnea Sahika Ercumen si è immersa nel Bosforo per sensibilizzare le persone ad un corretto smaltimento della plastica per evitare che finisca nei fiumi e quindi negli oceani.
Un foglio di carta abbandonato in un prato viene disgregato dall'alternarsi di acqua e sole e, attaccato dalle muffe e batteri, fornisce loro del nutrimento che rende possibile l'elaborazione della carta in sostanze diverse nuovamente utilizzabili dalla natura. Un involucro di plastica invece non subisce né la disgregazione causata dagli agenti atmosferici, né l'attacco di batteri e muffe.
Secondo le stime del World Economic Forum, ci sono 400 milioni di tonnellate di plastica prodotte ogni anno. Il continuo incremento è dovuto anche agli acquisti effettuati tramite l'e-commerce, che prevedono l'uso di contenitori plastici. Circa il quaranta per cento della plastica è smaltita in discarica, con un altro 32% dispersa nell'ambiente. Tra le soluzioni per ovviare a tale inondazione di plastica, una delle soluzioni proposte è quella della tecnologia blockchain del riciclaggio, che permetterebbe un risparmio del 15-20%: essa consente di conoscere la catena di approvvigionamento del riciclaggio, che può essere monitorato e incentivato. Ogni pezzo di materiale riciclabile sarà “visualizzato”, liberando l'ambiente dai rifiuti: ad esempio si identifica l'intera storia di una particolare bottiglia di plastica, dal momento in cui viene creata, raccolta, riconvertita in forma di materia prima e rispedita al produttore per produrre un'altra plastica bottiglia. Il nuovo prodotto blockchain - in fase di sviluppo - è costruito utilizzando Hyperledger Fabric, un framework blockchain open source supportato a livello internazionale da oltre 250 membri tra cui IBM, Intel e, più recentemente, DeepDive.
L’unico modo che si ha per ovviare all’invasione di materie plastiche è acquistare prodotti biodegradabili e riciclabili: essi sono spesso miscelati con l'amido per aumentare la biodegradabilità e ridurre i costi. Sono utilizzati per prodotti termoformati, come bicchieri per bevande, vassoi per alimenti da asporto, contenitori, fioriere. Il PLA - Acido Polilattico - è più economico da produrre rispetto alla sintesi di altre plastiche biodegradabili, tanto che si trova in confezioni per uova, rivestimenti, cartoni, pellicole avvolgibili, contenitori per alimenti. Occorre “ridurre il numero di imballaggi e contenitori in plastica immessi sul mercato e investendo in sistemi di consegna alternativi basati su sfuso e ricarica”, afferma intervistato dal Fatto Quotidiano Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia.
La plastic tax era prevista nella legge di bilancio del 2019 per entrare in vigore nel luglio di quest'anno. È un'imposta con la finalità di incentivare la produzione di manufatti eco-friendly. Slittata in seguito all'emergenza sanitaria, la plastic tax dovrebbe entrare in vigore dal primo gennaio 2021.
L'imposta riguarda il consumo dei cosiddetti “manufatti in plastica di singolo impiego” (MACSI), utilizzati con funzione di “contenimento, protezione, manipolazione o consegna di merci o di prodotti alimentari” secondo la bozza del DPB, il Documento Programmatico di Bilancio 2020.
In attesa di aggiornamenti, la plastic tax dovrebbe interessare: i fabbricanti di prodotti MACSI nel territorio nazionale; coloro che acquistano i MACSI o coloro che li cedano qualora i prodotti provenienti da un Paese dell’Unione Europea siano acquistati da un consumatore privato; gli importatori di prodotti MACSI da Paesi terzi.
L'imposta include anche le confezioni in tetrapack, mentre restano esclusi i contenitori di medicinali, i dispositivi e prodotti compostabili, in cui la percentuale di plastica è inferiore al 40%.
Il problema della plastica dispersa nell’ambiente è un fenomeno rilevante che va affrontato con diverse strategie, dalla riciclabilità alla sensibilizzazione. Di certo nel paese con una percentuale di tassazione tra le più alte, non poteva mancare la tassa sulla plastica che se è funzionale a limitare il fenomeno della dispersione delle materie plastiche nell’ambiente diventerà forse tra le poche tasse ben accette. Invero della plastica se ne fa un uso a volte smodato e non necessario, in alcun settori potrebbe essere sostituita da altri materiali, mentre sembra essere divenuta fondamentale nel campo della strumentazione medica dove una sostituzione comporterebbe problematiche maggiori. La vera sfida della scienza chimica è quella di realizzare materiali che possano essere riciclati con facilità e che possano sostituire la plastica, mentre alcune realtà si stanno movendo verso la ricerca di bioplastiche - materie che non derivano da fonti petrolifere. Inoltre, se la salute è realmente al primo posto nella scala dei valori, non può non essere posta attenzione alla rilevanza di alcuni recenti studi che avvalorano il pericolo derivato dalle sostanze rilasciate nella plastica, soprattutto in riferimento all’imbottigliamento.
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