Il guizzo gli venne quando era seduto in un ristorante. Fu così che Jacques Brandenberger mentre mangiava osservò la scena che avrebbe cambiato la sua vita e dato una svolta alla storia: quando un cliente rovesciò maldestramente la bottiglia di vino sulla tovaglia, l’ingegnere tessile pensò a come sarebbe stato più semplice, anziché sostituire la tovaglia, se il tessuto fosse stato ricoperto da un materiale che lo rendeva impermeabile. Lo immaginava trasparente, flessibile per adattarsi al tessuto e alle pieghe senza perdere efficacia; così il suo pensiero si rivolse subito al rayon, un sottile strato di viscosa liquida che si sovrapponesse al tessuto. Il tentativo non portò agli esiti sperati, il materiale applicato rendeva il tessuto rigido e si spellava dal supporto cui era stato applicato. Ma fu proprio questo particolare che aguzzò l’ingegno dello svizzero, la pellicola che si staccava era sottile e malleabile così iniziò lo studio che avrebbe rivoluzionato una parte di mondo, anche senza la sperata tovaglia resistente alle macchie. Nel 1908 Brandendeberger brevettò il sistema di produzione continua di fogli trasparenti di cellulosa, dando a questo materiale il nome di ‘cellophane’ dalla fusione di ‘cello’, che richiama la cellulosa di base, e ‘diaphanis’ per evocarne la trasparenza. Si era applicato e ingegnato perché per primo ne aveva scorto le possibilità di applicazione e utilizzo.
Il cellophane è prodotto partendo dalla viscosa, derivato della cellulosa solubile in acqua, secondo il processo messo a punto nel 1882 dagli inglesi Beadly, Cross e Bevan; tuttora, a distanza di più di un secolo, la lavorazione del cellophane segue lo stesso principio ideato per la prima macchina, seppur con i doverosi accorgimenti ammodernati. Non fu successo immediato, c’era resistenza per il nuovo materiale ma, senza perdersi d’animo, l’ingegnere svizzero si rivolse alla nascente pubblicità per divulgare la sua invenzione. Su una allora famosa rivista parigina nel 1912, Illustration, apparvero con immagini pubblicitarie e divulgative i numerosi usi del cellophane; l’anno successivo fu fondata la “SAI. La Cellophane”, con sede parigina e produzione a Bezons. Ma con il primo conflitto mondiale, la produzione negli anni della guerra si dedicò al fogli protettivi per le maschere a gas. Al termine della guerra, quando la produzione venne riadattata, il mercato iniziò a mostrare interesse soprattutto nell’esportazione, tanto che la Du Pont, gruppo chimico a stelle e strisce, ne acquistò la licenza di fabbricazione. Da quel momento il successo divenne inarrestabile e planetario. Liscio, incolore, trasparente, flessibile, resistente al grasso, con gusto neutro e nessun odore, capace di aderire alle superfici e adattarsi con semplicità; grazie a rifiniture con trattamenti chimici i fogli così prodotti hanno la possibilità di diventare impermeabili, sterilizzati e sigillanti. Tutte caratteristiche che hanno reso il cellophane ideale per gli usi alimentari, tanto più che la trasparenza rende appetibile il contenuto delle confezioni o degli alimenti che va a incartare. Tanto che, dal pacchetto di gomme americane che fu il primo prodotto a uso alimentare a essere incartato con questo materiale, la maggior parte della produzione è dedicata a imballaggi di alimenti.
Dal suo spopolare sul mercato, il cellophane ha visto cambiare il mondo e il modo di incartare, confezionare e imballare gli alimenti. Negli anni ’30 del secolo scorso, una diversa e datata scoperta casuale portò sul mercato la dirompenza di un altro materiale, il polivinilclorulo, il PVC. Accidentalmente nel 1838 il chimico e fisico Regnault aveva osservato come un gas da poco sintetizzato, il cloruro di vinile, se esposto alla luce del sole lasciava comparire un solido bianco nei contenitori. Alla stessa osservazione era giunto nello stesso anno anche il tedesco Baumann, ma entrambi si erano arenati all’osservazione del polimero senza riuscire a lavorarlo in una forma commercializzabile. Doveva arrivare il tedesco Klatte nel 1913 per brevettare il PVC, da polimerizzazione del gas. La recessione degli anni ’20 ostacolò lo studio e la ricerca, fin quando lo scienziato Waldo Semon impegnato nello studio di materiali sintetici che potessero sostituire la gomma naturale riuscì a mettere a punto un metodo che permetteva di usare il PVC come rivestimento dei tessuti, rendendoli impermeabili. Da allora gli usi del nuovo materiale sono stati fra i più svariati, dall’edilizia ai rivestimenti, financo all’impiego per la realizzazione di sottili fogli con spiccata capacità di aderire alle superfici e modellarsi, dando vita anche alla pellicola da cucina. La più diffusa è realizzata in questo materiale, cui si aggiungono plastificanti per aumentarne la flessibilità; il PE, polietilene, rappresenta un’alternativa per la pellicola da cucina per quanto sia meno flessivo e abbia meno capacità di aderire.
La diffusione e l’utilizzo negli anni di questi materiali è diventato massiccio, entrando in tutte le case. Imballaggi e conservazione da decenni si avvalgono di queste che a loro tempo furono innovazioni, oggi date per scontate nelle cucine e nelle vite di tutti. Con la sempre maggiore attenzione all’ambiente e all’impatto che i rifiuti hanno sullo smaltimento, la ricerca e lo studio si indirizza sempre più spesso verso componenti alternative. Diverse sono le aziende che si impegnano nella sostituzione degli incarti con alternative ecocompatibili e riciclabili, tanto da affezionare i consumatori che le prediligono proprio per questo impegno. Anche nelle cucine domestiche l’attenzione accresciuta ha portato ad apprezzare soluzioni diverse per la conservazione degli alimenti, alternative alle pellicole da cucina. Sono passati gli anni ma in qualche modo l’idea di Brandenberger di preservare un tessuto ha trovato una nuova vita e diverse applicazioni: impregnare una parte tessile con un agente esterno per renderlo altro dalla stoffa, escogitando un sistema per avvolgere, coprire e conservare gli alimenti.
Da un’intuizione che si è accesa nel 2018, l’anno successivo è nata la Beeopak grazie all’animo intraprendente di nove persone che si impegnano in una rivoluzione green. Cotone biologico imbevuto con una miscela di cera d’api, olio di nocciole piemontesi e resina di pino sfrutta le proprietà antibatteriche della cera che insieme alle altre due componenti protegge gli alimenti che va a incartare. Interamente realizzato a mano, Beeopak è riutilizzabile e lavabile ma soprattutto certificato per entrare in contatto diretto con gli alimenti sia freschi che cotti, ma anche per coprire i contenitori alimentari grazie alla sua capacità di modellarsi come una carta regalo. Lavabile con semplicità, basta sciogliere sapone naturale in acqua e immergervi il tessuto cerato oppure con aceto bianco. Impiegabile anche per conservazioni in freezer, ha il solo limite fisiologico di non poter essere usato in presenza di fonti di calore, giacché la cera si scioglierebbe ed è sconsigliato metterlo a diretto contatto con ingredienti particolarmente oleosi o molli o con carne e pesce. Stampati nelle vicinanze della produzione, i tessuti non contengono residui di metalli pesanti derivati dalla stampa e portano graziosi motivi decorativi utili anche per distinguere cosa contengono. La cura per il dettaglio e l’attenzione all’ambiente fa sì che anche l’imballaggio in cui sono protetti i beeopak siano in confezioni di carta riciclata.
Ancora utilizzando la cera d’api, il prodotto della cooperativa sociale ‘L’incontro’ di Vedalago, in provincia di Treviso, nasce Apepak: uno spesso tessuto in cotone biologico che proviene da filiera sostenibile, impregnato con cera d’api, olio di jojoba e resina di pini biologici. Realizzato in diversi formati, è facilmente malleabile grazie al punto di fusione della cera che a temperatura corporea, quindi lavorato con il calore delle mani, si riesce a modellare e far aderire sigillando l’incarto. Leggermente odoroso di cera, perde il suo caratteristico profumo dopo i primi utilizzi e lavaggi. Utilizzabile anche alle temperatura di freezer non richiede particolari manutenzioni, se non il corretto lavaggio con acqua fredda e sapone neutro, o aceto di vino. L’incontro promuove l’inserimento in ambito lavorativo di persone in situazioni di marginalità o svantaggio sociale che hanno così modo di riconquistare la dignità attraverso il lavoro e che ne favorisce il reinserimento sociale e familiare.
Aspetto della solita e comune pellicola alimentare, ma innovativa nella sua composizione. Rotofresh, pellicola natural trasparente e aderente come vuole la consuetudine, è realizzata in Mater-bi, biodegradabile e compostabile nonché adatta a tutti gli alimenti anche in contatto diretto; innovativa bioplastica realizzata da Novamont a partire da amido di mais e oli vegetali provenienti da pratiche agricole tradizionali e senza modifica genetica, può essere recuperata attraverso il riciclaggio organico dei rifiuti solidi organici. Non solo pellicola, il materiale si declina in diverse forme a partire dalle buste per la spesa ai sacchetti per la conservazione degli alimenti, nonché stoviglie come piatti e bicchieri monouso.